1. The Cat and the Devil: un ponte tra modernismo e letteratura per linfanzia
In una lettera al nipotino [1] di quattro anni, la cui data di spedizione è stata fatta risalire al 10 agosto 1936, James Joyce narra la leggenda del ponte del diavolo. Questa lettera-fiaba (Marucci, 2015, p.31) a Stephen, figlio di Giorgio Joyce, primogenito dello scrittore, racconta del patto che il sindaco della città di Beaugency stringe con il diavolo affinché eriga in una sola notte un ponte sulla Loira per i suoi cittadini. Satana, in cambio, esige lanima del primo passante che lo attraverserà. Tuttavia, quando il ponte è pronto, lo scaltro borgomastro, anziché farlo percorrere da un essere umano, lo fa attraversare da un gatto. Il diavolo viene così beffato, il patto rispettato e il ponte costruito. Da allora, i balgenziani, come ricorda lo stesso Joyce al nipote, vengono chiamati les chats di Beaugency.[2]
Il racconto allinterno della lettera, come il corso di un fiume, si dirama e scorre in diverse direzioni trovando però inaspettate confluenze con la vita e lopera dellautore: se da una parte la storia attinge al patrimonio folklorico europeo assumendo le caratteristiche tipiche del racconto popolare, dallaltra diventa sia attestazione dellaffetto per il nipote e, contemporaneamente, loccasione per una riflessione sul proprio lavoro e sul modernismo (Sigler, 2008, p.538).
Dal punto di vista della tradizione folklorica, si tratta di una variante delle storie cosiddette del ponte del diavolo. Occorre il plurale poiché è una leggenda migratoria. Della leggenda del ponte del diavolo [3] esistono, [138] infatti, diverse versioni collegate alla presenza in tutta Europa di ponti la cui costruzione viene attribuita al demonio (Ashliman, 2004, pp.105–106). Le sue diverse declinazioni, benché localizzate [4], sono accomunate dal nucleo narrativo fisso che vede al centro della storia il patto con il diavolo per la costruzione di un ponte e il successivo raggiro. Come sottolinea David Ashliman (2004, p.106), queste variazioni si trovano al crocevia tra fiaba e leggenda: presentano, infatti, caratteristiche tipiche della fiaba come la vittoria da parte delleroe, quasi sempre un uomo semplice, su un antagonista con poteri magici o attributi demoniaci, e una struttura narrativa ben definita con un inizio, un dénouement e una fine (A-T 1191) [5]. La scelta del tipo di animale, nvece, varia da leggenda a leggenda (Galanti, 1952, p.63).
Nella leggenda di Beaugency, di epoca medievale, la vittima sacrificale, come già osservato, è un gatto. Joyce venne a conoscenza della storia molto probabilmente durante un viaggio nella cittadina francese. [6] La storia deve averlo attratto non solo per la nota predilezione verso i felini. [7] Non è casuale che la lettera faccia seguito a un gattino pieno di dolcetti che lo scrittore aveva spedito alladorato Stevie [8] in precedenza. Come rileva Franco Marucci (2015, pp.37–38), Joyce opera subito sul filo dellassociazione, o per meglio dire di quello stream of consciousness che è la sua invenzione tecnica più nota: dal gatto di dolciumi a un certo gatto di una certa Beaugency. [9] La figura del gatto, negoziatore tra il bene e il male nello spazio liminale attribuitogli dalla tradizione folklorica (Lewis, 1992, 810), diventa il catalizzatore dellaffetto di Joyce per il nipote, creando un ponte simbolico che permette allo scrittore di superare la distanza geografica da Stevie [10] (Sigler, 2008, p.539).
Il suo potenziale metaforico, tuttavia, non si esaurisce nel rapporto epistolare con il nipote. Il legame con la parola scritta è, infatti, ben più complesso. Il gatto è anche, come scrive Marie-Dominique Garnier (2001, p.101), rifacendosi a Deleuze e Guattari, una sorta di ponte linguistico tra linizio e la fine della lettera dove il linguaggio viene decostruito per creare giochi di parole e sovrapposizioni plurilingui. A conclusione della storia, il diavolo, gabbato, rivolge la sua ira nei confronti dei cittadini di Beaugency in francese:
Messieurs les Balgentiens, he shouted across the bridge, vous nêtes pas de belles gens du tout! Vous nêtes que des chats! And he said to the cat: Viens ici, mon petit chat! Tu as peur, mon petit pau chou-chat? Viens ici, le diable temporte! On va se chauffeur tous les deux. (…. .)
Ecco che Balgentiens viene scomposto e confluisce per assonanza (beaux gens) in belles gens, bella gente, per dare luogo a un gioco di parole bilingue: il toponimo, infatti, non descrive per nulla le persone che abitano nella cittadina francese (Barai, 2014, p.180). Da qui si giunge a bellsy e a Bellsybabble nel poscritto, che sono il prodotto finale di uno smontaggio progressivo della parola (Garnier, 2001, p.101):
The devil mostly speaks a language of his own called Bellysbabble [sic] which he makes up himself as he goes along but when he is very angry he can speak quite bad French very well though some who have heard him say that he has a strong Dublin accent (Ellmann, 1992, p.382).
Nella lingua utilizzata, il demonio si disvela: è nonno Joyce (Melchiori, 1992, p.16) e il gatto è perciò il piccolo Stevie (mon petit pau chou-chat). Il francese traballante (pau al posto di pauvre) parlato con accento dublinese della maledizione di Satana è quello dello scrittore che in quel periodo viveva a Villers sur Mer nella Bassa Normandia. Il Bellsybabble, ulteriore pun [11], che vede lunione di Bellsy/Belzey, eco di Belzebù, e babble, balbettio, permette di proseguire lassimilazione con il personaggio mefistofelico. Joyce non è estraneo a questa identificazione. Anzi. Gli piaceva vedersi come una devil-figure e dare, allo stesso tempo, questa impressione agli altri (Raleigh, 1981, p.107).
Il Bellsybabble rimanda per assonanza anche alla Torre di Babele [12]; è quindi una poly-language (Hodgkins, 2007, p.362), una lingua poliglotta, che si ritrova, anche se non viene descritta nel testo, materializzata allinterno della parte finale della storia in cui sono utilizzate ben tre lingue in poche righe: linglese della narrazione, il francese dellinvettiva del diavolo, e litaliano perché Joyce, nella lettera, si firma Nonno. Questa lingua polisemica e polifonica è il banchetto dei linguaggi (cfr. Melchiori, 1992, p.1; Melchiori, 1994, p.3) che caratterizza Finnegans Wake [FW], in fieri in quegli anni, in cui ritorna questo [141] neologismo con una diversa ortografia, Belzey babble (Joyce, 1982 [1975], p.64). Babble è anche, però, il linguaggio tipico dei bambini. Il diavolo è pertanto un bambino, anche se luso che fa delle parole è molto preciso perché nella richiesta al sindaco, per evitare fraintendimenti, non chiede unanima, ma una person. Nonostante ciò, lo scambio comunicativo fallisce, sussumendo unidea di linguaggio come mezzo di comunicazione imperfetto (Barai, 2014, p.180–181).
Questa prima intersezione tra lultima opera di Joyce e la lettera, individuata da Constantin George Sandulescu (1987, p.vi), è lo spunto per ulteriori studi che hanno evidenziato di fatto il loro stretto rapporto. Nella lettera-fiaba e in FW si ritrovano, per esempio, il fiume – rispettivamente la Loira e il Liffey (Lewis, 1992, p.812) – e il diavolo, che in entrambi i testi coincide con la figura dellartista [13] (Sigler, 2008, p.542). In The Cat and the Devil e in FW sono, inoltre, presenti il gatto e il sindaco (Lewis, 1992, p.806) e questultima figura ritorna spesso allinterno dellopera [14] (Lewis, 1992, pp.807–808). Il sindaco di The Cat and the Devil è, però, particolare. Si chiama come il sindaco di Dublino in carica negli anni in cui la lettera è stata inviata al nipote e del work in progress (FW) di Joyce [15], Alfred Byrne. Sono anacronismi o scarti flagranti (2015, p.41) allinterno della versione di Joyce della leggenda che riconducono alla sua vita e alla sua opera; leggenda e realtà si fondono, quindi, in una commistione deliberata (Sigler, 2008, p.543). Alfred Byrne, personaggio storico, era spesso sui giornali in quegli anni (Lewis, 1992, p.806), come conferma lo stesso Joyce in una lettera al figlio del febbraio 1935 che mostra lirritazione nei confronti dello sfarzo esibito dal sindaco come si vede in alcune fotografie. Con la sua golden chain, diventa lispirazione per la descrizione del sindaco di Beaugency che porta anchegli una grossa catena doro attorno al collo, su una veste scarlatta. Anche qui si trova una deviazione di registro che in questo caso sfrutta la ripetizione dei dettagli dellabbigliamento al fine di delineare un personaggio caricaturale (Marucci, 2015, p.41), che non si toglie i vestiti e i gioielli neppure per andare a letto e dorme in una posizione che assomiglia a quella dellavaro che stringe a sé i suoi averi (Marucci, 2015, p.38). È, infatti, una figura ridicola che ricorda limperatore di Hans Christian Andersen (Sigler, 2008, p.543) e gli impiegatucci e i dirigenti locali della piccola borghesia (Marucci, 2015, p.38).
Eppure, anche il diavolo è un compulsive dresser (Garnier, 2001, p.100); ama leleganza e i vestiti. È però un diavolo socialmente utile (Marucci, 2015, p.38): leggendo, anacronisticamente, i giornali viene a sapere della necessità dei balgenziani di avere un ponte e si offre di costruirlo. Mostra, inoltre, alla fine del racconto, compassione nei confronti del malcapitato gatto, anche se, tramite lanimale, viene ingannato dal sindaco gretto e spilorcio. Invertendo i ruoli narrativi tradizionali, Joyce ritrae Satana come una figura moderna positiva, la cui situazione ricorda quella dellartista esiliato e mal ripagato (Sigler, 2008, p.547), mentre i balgenziani rimandano inevitabilmente agli irlandesi (Sigler, 2008, p.545).
Il racconto nella lettera al nipotino è dunque un fiume in grado di stimolare interpretazioni laterali, presentando travasi e confluenze con le opere maggiori di Joyce (Garnier, 2001, p.101). Non è, infatti, esclusivamente scritto con lo scopo di divertire Stevie, ma probabilmente anche to enhance Finnegans Wake (Lewis, 1992, p.805), per arricchire FW [16], accennando alla possibile reazione alluso che si fa della lingua (Reynolds, 2007, p.28) nella sua ‘storia universale la suprema sintesi verbale del creato (Melchiori, 1982/1975, p.iv), da parte dei critici che forse si troveranno a donner sa langue au chat (Sandulescu e Vianu, 2016, p.5), a gettare la spugna [17]. Le incursioni nella realtà contemporanea e nel mondo letterario dellautore mostrano, dunque, la fluidità del progetto modernista [143] e la sua essentially international, multilingual nature [18] (Sigler, 2008, p.548). Se da una parte ladattamento di Joyce della leggenda medievale è forse un tentativo di fornire, già in tenera età, allintelligente nipotino, erede della memoria storica e letteraria dellautore nonché delle sue opere, la chiave interpretativa della sua vita e dei suoi scritti, dallaltra suggerisce e apre orizzonti più vasti.
Per paradosso, seppur in relazione con la più intraducibile delle sue opere (Zacchi, 2002, pp.89– 91), The Cat and the Devil è, infatti, epitome di diversi tipi di traduzione: il racconto affonda le proprie radici sia nella traduzione del racconto folklorico da forma orale a forma scritta sia nella traduzione modernista (Barai, 2014, p.177). Lesistenza del folklore scritto, come osserva Emer OSullivan (2006, p.160), viene, infatti, garantita dalle diverse versioni che man mano sostituiscono le precedenti, non tramite la severa conservazione del testo e della sua unicità, come avviene invece in letteratura: il testo di partenza non è dunque autoritario, ma addirittura necessita di varianti locali per rimanere in vita (Barai, 2014, p.177). In modo simile, la traduzione modernista si discosta dal testo di partenza per dare rilievo a quello di arrivo (Barai, 2014, p.70). La traduzione abbandona in questo modo il suo status ancillare per configurarsi come una forma letteraria a sé stante, un testo autonomo e indipendente che sinserisce in un programma culturale preciso (Venuti, 1999, p.247). Tutti i modernisti, e fra questi anche Joyce, si cimentarono nella traduzione che in questo periodo, come sottolinea Yao (2013), non era più mezzo di affermazione dellautorità dei classici, ma tecnica compositiva autonoma per scoprire nuove possibilità di espressione. Laddomesticamento [19] del sindaco e del diavolo nel racconto di Joyce rientra in questa duplice ottica e favorisce la sovrapposizione tra Beaugency e Dublino (Barai, 2014, p.178). La tensione che si viene infine a creare con lestraniamento costituito dallambientazione e dallinvettiva finale in francese crea un ponte ancor più indicativo, [144] che fa convivere le due strategie opposte e che configura la lettera di Joyce e, più in generale, la traduzione come narrativa cross-culturale (Barai, 2014, p.178), un gioco, un divertissment, indirizzato a un bambino poliglotta che è anche momento di riflessione per lo stesso Joyce sulla sua poetica. Nel paragrafo seguente, si offrirà una panoramica sulle traduzioni intersemiotiche della lettera-fiaba di Joyce che diventa così un ponte simbolico tra Joyce e non un bambino particolare, ma una moltitudine di bambini.
2. The Cat and the Devil: le mille e una traduzione
The Cat and the Devil di James Joyce è stato pubblicato postumo per la prima volta nel 1957 in Letters of James Joyce a cura di Stuart Gilbert [20], poi nelledizione di Richard Ellman delle lettere (1959) e nella biografia da lui curata (1966) [21]. Leditoria per ragazzi si accorse subito del potenziale semiotico di quel breve testo; uscirono, infatti, nel 1964 dapprima ledizione americana e poi quella inglese accompagnate da immagini. Emblema della traduzione folklorica e modernista, il testo subisce quindi un ulteriore processo traduttivo: ne viene fatta una traduzione intersemiotica, che consiste nellinterpretazione dei segni linguistici per mezzo di sistemi di segni non linguistici (Jakobson, 1995/1965, p.53). Limplicito rilievo visivo (Marucci, 2005, p.32) e la brevità della lettera di Joyce la portano, infatti, ad assumere la forma di albo illustrato in modo talmente naturale che, come rileva Amanda Sigler (2008, p.541), le immagini che lo accompagnano further enhance and complicate its interpretative possibilities [22]. Il testo verbale viene così a collaborare con quello iconico per costruire il senso del testo, come avviene solitamente allinterno di questo genere (Nodelman, 1988; Nikolajeva e Scott, 2006/2001) che, essendo destinato a bambini in età prescolare, è inteso [145] per essere letto ad alta voce da un adulto, mentre il bimbo guarda le illustrazioni, dando spesso vita a una rappresentazione o performance (Schwarcz, 1982; Shulevitz, 1985; Spitz, 2001/1999).
La prima edizione, quella americana, è illustrata da Richard Erdoes ed è pubblicata nel 1964: la leggenda è inserita nel contesto storico originario, come mostrano gli abiti medievali dei personaggi, senza richiami visivi a Joyce e alla scrittura (cfr. Sigler, 2008, p.543; Barai, 2014, p.188)
Più complessa è invece ledizione inglese illustrata da Gerald Rose con i suoi numerevoli echi metatestuali apparsa sempre nel 1964. Le prime immagini ritraggono, per esempio, non solo la lettera e il gatto, ma anche Joyce di spalle che scrive. Nella doppia pagina seguente, il diavolo, elegantissimo, con i giornali per terra, si ammira nello specchio, ma le sue fattezze sono quelle dello scrittore irlandese, anticipando a livello visivo lidentificazione finale a livello verbale. Le illustrazioni a colori si alternano a quelle in bianco e nero, caratterizzate da un tratto a penna frenetico e sottile (Barai, 2014, p.188). Tra queste, particolarmente interessante è quella del patto tra il diavolo e il sindaco, che ha il dito appoggiato al naso, rimandando visivamente allespressione to have a nose for business, avere fiuto per gli affari. In questa doppia pagina si trovano, dal punto di vista iconico, molti oggetti anacronistici rispetto all epoca medievale in cui la leggenda è ambientata, dagli abiti al monocolo del sindaco, al telefono – seppur quello in uso negli anni 30 – e oggetti inaspettati per un libro per bambini come la bottiglia di vino stappata con i due calici, una pipa e un cannocchiale, spyglass, presente sia a livello verbale che visivo, usato da Satana per controllare chi attraverserà il ponte. Il cannocchiale è il locus of visual power (Sigler, 2008, p.545), il luogo del potere visivo, che, come in altre opere joyciane, introduce nel mondo mitico e pseudo-mitico della finzione narrativa riadattato per il mondo moderno. Limmagine del diavolo/Joyce voyeur, intento a sorvegliare in lontananza i cittadini, ricorda una critica mossa da Joyce agli irlandesi (Sigler, 2008, p.553) che, secondo lui, dovevano avere [...] one good look at themselves in my nicely polished looking-glass [23] (Ellmann, 1975, p.90). [146]
Nella rappresentazione del patto mefistofelico è poi implicita unespressione idiomatica. Gerald Rose, infatti, continua a divertirsi con le parole, rendendo omaggio a Joyce. Nel passaggio in cui i cittadini sono in attesa di vedere chi attraverserà il ponte, crea quello che può essere definito un gioco iconotestuale (Nière-Chevrel, 2003, p.157) tra il testo iconico e quello verbale: lespressione figurata every man held their breath and every woman held their tongue – trattenere il fiato e tenere a freno la lingua – si trova rappresentata letteralmente nellimmagine, con gli uomini con le mani di fronte alla bocca e al naso e le donne che tengono tra le dita la lingua, poiché il verbo to hold significa tenere.
Come si può osservare, il testo, pur essendo rivolto ai bambini, diventa, con le diverse allusioni a livello visivo, un testo ambivalente, cioè appartiene simultaneamente a due sistemi letterari; quello della letteratura per linfanzia e quello della letteratura per adulti, e dunque viene rivolto a due lettori diversi, il bambino e ladulto (Shavit, 1985, p.66). Lalbo illustrato si presta a questa doppia lettura, prevedendo già un lettore adulto che legge il testo verbale ad alta voce mentre il lettore prescolare osserva le immagini, ammiccando quindi alladulto già implicito nel testo, divertendolo con richiami difficilmente decifrabili dai bambini (Beckett, 2013, p.13). Lalbo di Rose è, di fatto, un crossover picturebook (Beckett, 2013).
Le edizioni che ripropongono la lettera-fiaba di Joyce sono seguite dalle diverse traduzioni interlinguistiche del testo. Queste mantengono il formato di albo illustrato e spesso assumono una rilevanza particolare. Quella francese del 1978 illustrata da Roger Blachon con la traduzione di Jacques Borel è fondamentale perché le immagini sono state utilizzate per le edizioni successive in altre lingue, ed è stata poi ripubblicata nel 1980 con la traduzione revisionata da Solange e Stephen Joyce. Il nipote ne ha scritto anche la postfazione, che spesso appare anche come prefazione nelle molteplici versioni. Blachon, di fatto, mantiene lambientazione medievale come Erdoes – ad eccezione dellimmagine della prima doppia pagina in cui si vede un postino in motorino –, ma lo stile dellintero albo è overtly childlike and cartoonish [24] (Barai, 2014, [147] p.192). In questo caso, come nel caso della prima edizione americana, il lettore adulto viene scalzato da quello bambino così da rendere il testo più commerciabile, anche se con qualche allusione visiva al cattolicesimo irlandese tramite la rappresentazione del sindaco vestito come un cardinale.
Nel prossimo paragrafo si prenderanno in esame le diverse traduzioni italiane, analizzando il rapporto particolare che si crea tra il testo di Joyce e lalbo illustrato al fine di identificarne i progetti traduttivi impliciti nelle edizioni italiane e i lettori a cui sono destinate.
3. Il gatto e il diavolo: un ponte tra James Joyce e i bambini
La prima traduzione italiana della lettera-fiaba di Joyce è del 1967 e viene pubblicata dalla Emme Edizioni nella traduzione di Enzo Siciliano, scrittore, critico e drammaturgo, nonché presidente della RAI nel biennio 1996–1997, con le illustrazioni di sua moglie Flaminia. La seconda viene, invece, pubblicata nel 1980 dalla EL (Editoriale Libraria) di Trieste nella collana Voltapagine e poi nel 1985 in Un libro in tasca con la traduzione di Giulio Lughi, traduttore storico della casa editrice, ma anche direttore della collana Librogame [25] e professore dellUniversità di Torino. Segue poi, nel 1996, Le chat de Beaugency: una storia di Stephen della casa editrice Edizioni LObliquo di Brescia, che pubblica testi inediti a tiratura limitata con disegni dautore: il testo è a cura di Francesco Binni, con cinque disegni di Giorgio Bertelli, Felice Martinelli, Albano Morandi, Agostino Perrini e Diego Saiani. Fuori catalogo e in sole sessantacinque copie, è chiaramente un testo rivolto alladulto dove non cè alcuna traccia del lettore bambino. A queste edizioni fuori catalogo26, sono da aggiungere tuttavia altre due traduzioni: una nel 2010 da ESG (Edizioni Svizzere per la Gioventù) con la traduzione di Ottavio Fatica, traduttore professionista di classici [148] della letteratura inglese, le illustrazioni di Blachon e la prefazione di Stephen Joyce e una seconda pubblicata nel 2015 da Edizioni ETS, con la traduzione e la postfazione di Franco Marucci, scrittore, traduttore e professore ordinario di letteratura inglese allUniversità Ca Foscari di Venezia. Le illustrazioni sono, invece, di Cristiano Coppi, designer e grafico. La postfazione così come i collage composti di fotografie in bianco e nero o colorate di blu avvertono subito che anche in questo caso, come nella versione di Edizioni LObliquo, il lettore bambino viene posto in un angolo per dare spazio al lettore adulto.
3.1. quello stregone che non era altri che lui, James Joyce di Dublino
[This section has been omitted from the present copy.]
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- Yao, S. G. (2013). Translation Studies and Modernism. In J. M. Rabaté (a cura di), Handbook of Modernism. West Sussex: Wiley-Blackwell. Zacchi, R. (2002). Chi ha paura di FW? In R. Zacchi, M. Morini (a cura di), Manuale di traduzioni dallinglese (pp.89–91). Milano: Bruno Mondadori.
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